IMPLANTOLOGIA ENDOSSEA


CENNI STORICI

Le scoperte degli archeologi dimostrano che l’uomo si è sempre preoccupato di sostituire i denti perduti.
I primi tentativi di impianti dentari risalgono alle dinastie egiziane ed alle culture precolombiane, allora si utilizzavano denti di animali o denti scolpiti in avorio.
Durante il periodo medioevale l’implantologia si occupò soprattutto di trapianti di denti umani e si cominciarono a comprendere i rischi di contaminazione batterica e di infezione.
Dal 1800 al 1910, in America, ha inizio l’era dell’implantologia endossea, i materiali utilizzati furono oro, porcellana, legno, platino, argento, stagno. Nel 1888 Berry elaborò i principi di biocompatibilità e di stabilità. Egli aveva già intuito uno dei cardini fondamentali dell’implantologia endossea: la stabilità primaria. Successivamente dal 1910 al 1930 l’attenzione dei ricercatori si focalizzò solo su due materiali, l’oro e la porcellana, e sulle tecniche chirurgiche di alloggiamento degli impianti ribadendo l’importanza di uno stretto contatto tra osso e impianto.
Il periodo che va dalla fine degli anni ’30 fino al 1959 è caratterizzato dallo studio dei diversi biomateriali, vennero abbandonati quelli inadatti e si focalizzò l’attenzione sulla porcellana ed il vitallio. . In questo periodo si sviluppano innovazioni chirurgiche e protesiche dando vita a due tipologie di impianti, gli impianti sottoperiostei e quelli endossei.
Moltissimi studiosi quali Alvin, Strck, Dahl, Lew, Weinberg, Linkow, Formiggini, Scialom, Cherchève diedero il loro importante contributo in quegli anni.
Nel 1959 in Svezia, a Gotemburg, il prof. Branemark, in seguito ad una scoperta casuale, elaborò il concetto dell’osteointegrazione e gettò le basi dell’implantologia endossea contemporanea.


Così come moltissime altre grandi scoperte scientifiche furono il frutto di un evento casuale, ( la legge di gravità, la radioattività, etc. etc. ) e solo successivamente analizzate con rigore scientifico, anche nel caso dell’implantologia endossea si verificò un fenomeno analogo: durante vari esperimenti di laboratorio riguardanti le modifiche indotte da alcuni farmaci sulla microcircolazione dei capillari, il prof . Branemark notò che una telecamera inserita nella tibia di un coniglio allo scopo di monitorare la circolazione sanguigna presentava un comportamento anomalo. Suddetta telecamera si era stranamente “cementata” all’osso. Il professore, guidato da una acuta curiosità scientifica, non sottovalutò il fatto, studiò il materiale di costruzione della telecamera e scoprì che si trattava di titanio. Egli involontariamente aveva scoperto un materiale che si osteointegrava, senza rigettare, bioinerte, aprendo la strada della moderna implantologia.
Branemark segnò una svolta inattesa nello sviluppo dell’implantologia endossea, definendo esattamente il concetto di osteointegrazione e supportato da validissimi collaboratori quali, Zarb ed Albrektsson elaborò il primo protocollo clinico per la cura di un edentulismo mediante protesi sorrette da impianti.
Il primo paziente trattato secondo i principi dell’osteointegrazione di Branemark, tutt’ora universalmente validi, si ebbe nel 1965.
Il prof. Branemark definì così l’osteointegrazione al congresso tenutosi a Malmo nel 1994: ”congruenza anatomica assoluta fra un osso vivente rimodellante e sano ed un componente sintetico che trasferisce un carico all’osso stesso”.


Quindi si riconosce al prof. Branemark ed ai suoi collaboratori il merito di aver sviluppato i principi biologici dell’implantologia endossea contemporanea.
Successivamente la ricerca scientifica si rivolse a perfezionare sempre di più questa tecnica, apportando modifiche sulla superficie dell’impianto, sulla forma della vite, sulla connessione protesica, sulle modalità relative ai tempi d’attesa per il carico protesico, senza minimamente intaccare i capisaldi introdotti da Branemark.


L’IMPLANTOLOGIA ENDOSSEA CONTEMPORANEA

Oggigiorno i diversi tipi di edentulismo possono essere trattati quasi tutti con l’utilizzo di impianti endossei.
E’ molto importante l’analisi delle condizioni locali, generali e psicologiche del paziente.
Attraverso l’anamnesi odontoiatrica, che va effettuata durante la prima visita anche per stabilire un rapporto di fiducia con il chirurgo, si riesce a valutare lo stato generale del paziente ed anche il suo stile di vita.
Bisogna informarsi su eventuali patologie sistemiche che possono riguardare il sistema cardiovascolare, il sistema nervoso, il sistema endocrino, il sangue, ed il sistema respiratorio, per poi valutare attentamente il caso ed optare per la scelta terapeutica più indicata.


Le reali controindicazioni sistemiche al trattamento con impianti sono la terapia radiante in corso, i disturbi psichiatrici, alcune patologie ematiche e le lesioni tumorali maligne dei mascellari.
Per quanto riguarda la patologia ossea, il disturbo più frequente è l’osteoporosi ed è bene precisare che questa patologia colpisce nella maggior parte dei casi distretti diversi dai mascellari per cui non rappresenta una controindicazione assoluta.
Durante l’esame della cavità orale bisogna valutare lo stato del parodonto: lo stato dei tessuti di sostegno dei denti residui, l’infiammazione della gengiva, una eventuale malattia parodontale in corso; in ogni caso contrariamente ad una opinione molto diffusa tra i pazienti, nessuna di queste situazioni cliniche rappresenta un ostacolo alla terapia impiantare.
Oggi la tecnica implantare ha raggiunto una percentuale di successo davvero notevole che si avvicina molto al cento per cento, inoltre sondaggi effettuati tra i pazienti trattati con tale riabilitazione protesica hanno dimostrato entusiasmo e affermano di non sentire differenza tra i denti propri e quelli sorretti da impianti, sono soddisfatti della funzionalità della protesi, della loro “fissità”, del risultato estetico e del miglioramento della fonesi rispetto alla situazione che avevano in precedenza.

Dopo l’analisi degli esami clinici e radiologici si potrà elaborare il progetto della riabilitazione.
La progettazione dell’intervento implantoprotesico è molto importante, nulla deve essere lasciato al caso, si devono prevedere prima le eventuali difficoltà del trattamento per prendere le dovute precauzioni.
E’ opportuno effettuare l’intervento in una sala operatoria appositamente strutturata, munita dello strumentario e delle attrezzature chirurgiche necessarie, ove sarà possibile lavorare in campo sterile. Il mantenimento dell’igiene ottimale degli strumenti, degli ambienti e degli operatori è di fondamentale importanza per ottenere il successo dell’intervento, inoltre è buona norma occuparsi della disinfezione della cute e delle mucose del paziente al fine di ridurre la flora microbica normalmente presente all’interno del cavo orale. Il protocollo prevede anche una leggera sedazione del paziente stesso per mezzo di benzodiazepine (ansiolitici) ed ovviamente una antibioticoterapia iniziata preferibilmente qualche giorno prima dell’intervento. Dopo l’inserimento degli impianti bisogna attendere il tempo necessario per ottenere una osteointegrazione ottimale che garantirà la stabilità delle protesi.


Trascorso questo periodo di tempo, durante il quale il paziente si sottoporrà a periodici controlli, si potrà iniziare il protocollo protesico, ovvero la fase finale del trattamento che porterà alla definitiva riabilitazione della zona trattata.
A lavoro ultimato la durata nel tempo di una riabilitazione protesica su impianti osteointegrati è molto lunga: in condizioni ottimali può giungere fino a svariate decine di anni.
Oggi i tempi d’intervento si sono ridotti moltissimo, fino ad arrivare a circa quindici minuti per impianto.
Questo fatto, assieme ai minimi disagi dell’intervento, alla totale fissità ed all’estetica della protesi, alla sua praticità di utilizzo, alla totale assenza di strutture rimovibili e quindi di fastidi, rendono il trattamento impiantare, ove possibile, l’intervento di elezione per gli edentulismi sia parziali che totali.


Oggi è inoltre possibile, avvalendosi di tecniche di rigenerazione ossea guidata e di altri interventi correlati, ripristinare l’osso anche nei pazienti che ne sono carenti rendendo possibile il trattamento anche per loro.
Gli straordinari eventi scientifici che hanno contraddistinto l’implantologia endossea in questi anni, hanno portato a tutt’oggi anche la possibilità di eliminare o di ridurre moltissimo il tempo di osteointegrazione.
In totale sicurezza, se ne esistono i presupposti clinici, gli impianti possono essere caricati con la protesi immediatamente dopo l’intervento eliminando, così, anche il disagio di una protesi provvisoria rimovibile.
Credo che, alla luce di quanto detto, la possibilità di non presentare al paziente la soluzione implantare come quella di elezione, nei casi ove sia possibile, possa essere considerata un errore da parte del professionista.